Vi sarà già capitato di sentire questi termini e vi saranno sorte le domande: “Ma che cos’è? A cosa serve?”
II lavoro del Neuropsicomotricista è, per definizione, molto flessibile e adattabile, come deve essere un approccio che si indirizza ad un bambino nella sua unicità.
L’etimologia della parola “psicomotricità” ci fa intuire che è una pratica che riguarda sia il movimento, sia l’aspetto psicologico (corpo/mente). La vita psichica di un individuo inizia già nel periodo intrauterino, grazie alle percezioni e sensazioni corporee che il feto vive nel grembo materno.
Il corpo e il movimento, quindi, sono le dimensioni esperienziali che stanno alla base della formazione del pensiero e, conseguentemente, questi due termini sono le basi su cui trova fondamento la psicomotricità e da quest’ultima si collega poi il concetto di gioco spontaneo.
Nel primi anni di vita, il bambino riesce ad esprimere le sue emozioni piuttosto che con un linguaggio verbale, con un linguaggio corporeo, attraverso il movimento e l’azione che si concretizza nel gioco; per lo psicomotricista, il gioco diviene uno strumento e una chiave di lettura fondamentale per indagare il mondo psichico ed emozionale del bambino.
Lo psicomotricista allora diviene egli stesso strumento attivo e modello per il piccolo paziente che, pur in presenza di carenze neurologiche, neuropsicologiche, cognitive, sensoriali, relazionali, psicologiche, impara a strutturare il gioco.